Palazzo Rocca Costaguta
Il nucleo originario del Palazzo venne realizzato da Bartolomeo Bianco tra il 1626 e il 1635 per la nobile famiglia dei Costaguta, che costruì la sua dimora a cavallo delle mura cittadine. Il loro munifico mecenatismo, che si esplicò in costruzioni, rifacimenti e decorazioni delle maggiori chiese di Chiavari, derivava dalla frequentazione della Curia papale e degli ambienti artistici romani: mentre i Costaguta di Roma, all’inizio del XVII secolo, arricchivano di dipinti la loro dimora di Piazza Mattei, a Chiavari Achille affidava la costruzione della sua residenza al celebre architetto Bartolomeo Bianco (1579-1640), che la realizzò mediante la rifusione di due edifici preesistenti (la “casa grande” e la “casa della vigna”) addossati alla cinta muraria del XII secolo. L’andamento delle mura di cinta si legge ancora nel corridoio che attraversa longitudinalmente il primo piano. La precaria situazione economica della famiglia indusse gli eredi di Achille ad affittare i piani e a vendere molte opere d’arte: cominciò così il declino della dimora signorile finché, nel 1760, i nobili genovesi Ranieri e Gerolamo Grimaldi entrarono in possesso dei beni chiavaresi dei Costaguta. Essi ampliarono il Palazzo verso levante, arricchendolo di dipinti e di arredi pregevoli. Nel 1824, a seguito del matrimonio di Maria Teresa Grimaldi con Ignazio Alessandro Pallavicini, il Palazzo passava a quest’altra illustre casata genovese. Nel 1899 l’ultimo discendente, Alessandro Pallavicini, mise all’asta i beni più preziosi: venivano così sottratti alla ricca raccolta numerosi dipinti, i mobili settecenteschi e una serie di pregiati “gobelins”. Le successive proprietarie, le sorelle De Ferrari di Genova, proseguirono nella vendita di parte della quadreria e del mobilio. Giuseppe Rocca, ricco borghese di Chiavari che entrò in possesso del Palazzo, provvide dal 1903 a ristrutturare alcuni ambienti e a ricostruire gli arredi degli interni spogliati dalle precedenti alienazioni. I lavori di ristrutturazione furono affidati all’impresa Alessandrini di Genova, sotto la direzione dell’ing. Talbò; le decorazioni ad affresco si devono al milanese Francesco Malerba, come milanesi sono le ditte che realizzarono l’impianto elettrico (Del Grosso) e i parquets in legno su asfalto (Spangher). I pavimenti in cemento e alla veneziana furono invece affidati alle ditte chiavaresi Repetto e Boletto, mentre l’ebanista Antonio Brizzolara si occupò delle decorazioni in legno e degli infissi. Alcuni arredi, tra cui le stampe settecentesche, giunsero a Chiavari dalla casa dei Rocca di Buenos Aires. La dimora gentilizia si trasforma così in un’abitazione alto-borghese, arredata in gusto tardo-ottocentesco eclettico e dotata di illuminazione elettrica e di altre innovazioni tecnologiche.
Al 1908 risale l’allestimento del retrostante Parco, progettato dall’architetto genovese Polinice Caccia e realizzato dalla ditta Bernasconi di Cornigliano. Il Palazzo pervenne al Comune nel 1912 per disposizione testamentaria di Giuseppe Rocca, che pose la clausola di trasformare il piano nobile in museo. Il nipote e usufruttuario Luigi Daneri, prima che il Comune ne entrasse in possesso, effettuò altri interventi all’interno del Palazzo (impianto termico, pavimentazione in legno di sei stanze e tinteggiatura dei muri nelle stanze del primo piano) e nel Parco (costruzione di grotte e rustici, del cancello in ferro battuto, del portale di ingresso sulla Piazza Matteotti, delle balaustre e dei pilastri con vasi in salita Gianelli; del rifugio antiaereo per proteggere le opere d’arte durante la guerra). All’interno del Palazzo è conservato un complesso di beni (dipinti, mobili, suppellettili, tessuti) di diversi periodi e di varia provenienza, la cui eterogeneità si spiega con i passaggi di proprietà e con gli interventi succedutisi nei secoli.
L’edificio si articola su diversi piani:
piano terra, già adibito a zona di servizio, oggi sede del Museo Archeologico Nazionale di Chiavari;
primo piano nobile, in passato non abitato dai proprietari ma concesso in affitto, oggi sede di mostre temporanee e della Quadreria “Pietro Torriglia”, ospitata in comodato dal Comune di Chiavari;
ammezzato, dove si trovano le antiche cucine;
secondo piano nobile, attualmente sede della Galleria Civica, al tempo dei Rocca si divideva in due appartamenti affacciati sul salone. Quello di ponente era composto da salotto (attuale sala 6), camera da letto (sala 7), toilette, fumoir (sala 8), sala da pranzo (sala 9). L’appartamento di levante, in cui viveva Giuseppe Rocca, comprendeva salotto (sala 5), camera da letto (sala 4), spogliatoio (sala 3), toilette (sala 2), sala da biliardo (sala 1);
terzo piano, al tempo dei Rocca constava di tre camere da letto, un bagno e un salotto;
sottotetto, già zona di servizio.
Orari:
- Sabato, domenica e festivi ore 16-19.
- In altri giorni su appuntamento (Ufficio Cultura 0185 365339 – cultura@comune.chiavari.ge.it)
Atrio e scala
Il soffitto fu decorato a imitazione di volta a lunette dal milanese Francesco Malerba (fine XIX-inizio XX secolo) e reca, entro riserve sull’imposta delle volte, l’iscrizione hospes ingredere boni vultus tibi aderunt lubenti animo. Due epigrafi ricordano il soggiorno nel Palazzo di Papa Pio VII (1809) e la figura di Giuseppe Rocca, che donò l’edificio al Comune.