Anteriormente al Mille, il territorio sul quale nel XII secolo sarebbe sorto il borgo di Chiavari era percorso dall’antica strada litoranea diretta dal Levante e al Ponente ligure, che percorreva le colline di Bacezza, delle Grazie e di Rovereto (la linea di costa era molto più arretrata rispetto all’attuale), sulle quali si svilupparono gli insediamenti più antichi.

Tra i possedimenti donati dall’imperatore Ottone I al monastero di Bobbio con il diploma del 25 luglio 972, sono annoverate le ville di Caperana (Capellana) e Rì (Ripus), sulle quali convergevano sia la via litoranea, sia quella diretta al piacentino attraverso la Valle Sturla e il Passo del Bocco; quest’ultima, in particolare, è disseminata di postazioni longobarde e di possessi bobbiesi, mentre insediamenti longobardi sono individuabili lungo una seconda strada che dal territorio chiavarese si dirigeva in Emilia attraverso le Valli Fontanabuona e Aveto. Nella zona di Rì esisteva, accanto all’insediamento di derivazione bobbiese, anche una corte appartenente alla Chiesa di Genova; altre proprietà ecclesiastiche erano localizzate nella zona di Caperana. Sulle alture di Maxena era concentrato un cospicuo patrimonio fondiario pertinente alla Chiesa genovese. Al 1059 risale la prima notizia relativa alla località di Sanguineto. Ai piedi del territorio di Maxena era la chiesa di San Pietro, menzionata nei documenti a partire dal 1164; intorno all’XI secolo si colloca la fondazione della chiesa con ospitale di San Giacomo, affacciata sul mare.

In un documento del 980 compare per la prima volta il toponimo Chiavari, che ritorna in un atto del 1031, con il quale Tedisio conte di Lavagna riceveva in locazione dal vescovo di Genova Landolfo diversi beni, tra cui alcuni in Valle Clavari, beni che sarebbero rimasti per secoli ai suoi discendenti.

Il Comune di Genova, nella sua espansione verso la Riviera, aveva trovato forti resistenze nel territorio dei Conti di Lavagna, sottomessi soltanto alla metà del XII secolo; ma ciò non fu sufficiente a sconfiggere il loro potere nel Tigullio, dove erano fortemente radicati e godevano di largo seguito. Nel 1167 i consoli genovesi decretavano l’erezione del castello di Chiavari, che avrebbe costituito un presidio genovese in loco. Dato il persistere della resistenza dei Conti di Lavagna, nel 1178 veniva decisa la creazione del borgo, secondo un preciso piano urbanistico che prevedeva la creazione di quattro fasce edificabili delimitate da vie di percorrenza, individuabili ancora oggi nel centro storico. I Conti di Lavagna, però, trovarono il modo di insinuarsi a Chiavari attraverso gli insediamenti civili e le fondazioni ecclesiastiche.

I Fieschi e i Ravaschieri, le maggiori famiglie discendenti dal Comitato lavagnese, mantennero un ruolo di riferimento a Chiavari per tutto il Medio Evo e nell’Età moderna, contrastati dai Rivarola, da sempre schierati sull’opposto fronte politico. Nel corso del XVIII secolo Chiavari, come tutti i borghi del Levante ligure, andò assumendo un crescente grado di benessere economico e di crescita sociale e culturale, con la formazione di una nuova e potente classe borghese. Nell’aprile 1791 nacque a Chiavari la Società Economica www.societaeconomica.com – patrocinata dal marchese Stefano Rivarola, governatore della città – e fondata da personalità di spicco della classe imprenditoriale, del mondo intellettuale cittadino, della nobiltà e del clero più aperto -, sul modello della Società Patria per le Arti e le Manifatture, sorta a Genova nel 1786 per iniziativa di un gruppo di aristocratici illuminati, tra i quali il duca Gerolamo Grimaldi. Chiavari conobbe un momento di particolare fulgore nel periodo napoleonico, quando fu prescelta quale capoluogo del Dipartimento degli Appennini ed elevata da Napoleone Bonaparte al rango di città.

Il radicamento delle idee illuministe aveva creato l’humus sul quale si innestò il pensiero risorgimentale, che trovò a Chiavari autorevoli esponenti.

I PERSONAGGI

Numerosi personaggi originari di Chiavari nel corso dei secoli si distinsero nei più svariati settori. Ci limiteremo a tratteggiare le biografie di alcuni, nati a Chiavari o altrove da famiglie chiavaresi, che per la valenza delle loro attività hanno conquistato un posto di rilievo nella storia. Questa breve carrellata testimonia comunque la straordinaria vitalità dell’ambiente chiavarese nell’Età Moderna.

Vincenzo Costaguta (1612-1660). Già suo padre Prospero aveva occupato un posto di spicco nell’Urbe come senatore di Roma, agente della Repubblica di Genova e governatore della Confraternita di San Giovanni Battista de’ Genovesi; nel 1645 i Costaguta erano stato cerati dal Pontefice marchesi di Spicciano e signori di Roccalvecce, nel Viterbese. Vincenzo, dottore in diritto civile e canonico, si trasferì da Chiavari a Roma al tempo del pontificato di Innocenzo X; protonotario apostolico, cardinale, fu segretario della Camera Apostolica. Nel dicembre del 1655 ricevette a Roma la regina Cristina di Svezia, con la quale usava trattenersi a lungo per dissertare di storia, di matematica e di musica, materie delle quali egli era profondo conoscitore.

Andrea Costaguta (1610-1670). Frate carmelitano e architetto, nel 1638 fu accolto dalla duchessa Cristina alla Corte sabauda, dove fu nominato consigliere e teologo di Sua Altezza Reale. A lui si deve il progetto del complesso di Santa Teresa dei carmelitani Scalzi e altri interventi nei castelli di Moncalieri e del Valentino. A seguito di un’oscura vicenda accadutagli nella natia Chiavari, nel 1655 fu processato e relegato nel convento di Sassoferrato.

Agostino Rivarola (1758-1842). Fratello del diplomatico Stefano Rivarola, fu protonotario apostolico al conclave di Venezia, nel 1800, delegato a Perugia e a Macerata, nel 1808 cadde prigioniero dei Francesi perché rimasto fedele al Papa. Governatore di Roma, fu creato cardinale nel 1817 e, come legato a Ravenna, condusse un’opera di repressione delle sette carbonare, che culminò con un processo che, nel 1825, vide condannati oltre 500 affiliati. L’anno seguente fu vittima di un attentato e, tornato a Roma, venne nominato prefetto delle Acque e Strade.

Diego Argiroffo (1738-1800). Frate francescano, fece parte della cerchia degli intellettuali chiavaresi che animavano l’attività della Società Economica. L’avversione all’Austria avrebbe portato padre Diego alla morte: per avere rifiutato di inneggiare all’Imperatore venne infatti fucilato proprio dagli Austriaci nel 1800 sul Monte Fasce, prima vittima da loro uccisa sul suolo italiano per ragioni politiche. E’ nota la sua opera manoscritta Memorie storiche e cronologiche della Città, Stato e Governo di Genova ricavate da più annalisti e scrittori, e autentici monumenti, sino ai tempi presenti dell’anno 1794-1799, conservata alla Biblioteca Universitaria di Genova.

Angelo Della Cella (1760-1837). Nato a Chiavari intorno al 1760, poco si conosce della sua vita, ma certamente assimilò le idee illuministe che si diffusero a Chiavari alla fine del XVIII secolo. Alla sua morte, infatti, gli fu data sepoltura in terra sconsacrata. Si cimentò nella ponderosa opera Memorie di Chiaveri, conservata alla Biblioteca della Società Economica e suddivisa in tre volumi; il secondo, intitolato Delle famiglie indigene, avventiccie, nobili, popolari, estinte e vigenti di Chiavari, nel quale sono descritte oltre seicento casate locali, è uno strumento utilissimo per gli studi genealogici.

Carlo Garibaldi (1756-1823). Versatile e originale figura di intellettuale, fu la più emblematica espressione del periodo illuminista chiavarese. Nato nel 1756 a Prato di Pontori (oggi nel Comune di Ne), si laureò in Medicina a Genova nel 1780, stabilendosi poi a Chiavari, dove esercitò la professione e coltivò assiduamente gli interessi in campo storico e genealogico, non tralasciando l’impegno civile e politico. Nell’aprile del 1791 fu tra i fondatori della Società Economica, nell’ambito della quale ricoprì diversi incarichi, e alla creazione dell’Accademia dei Filomati, che promosse l’organizzazione di una fornita biblioteca pubblica. Di spiccate simpatie filogiacobine, dopo la proclamazione della Repubblica Ligure entrò a far parte della nuova Amministrazione Centrale di Chiavari, che su sua proposta ribattezzò vie e piazze con nomi di ispirazione “rivoluzionaria”. L’annessione della Liguria all’Impero Francese, nel 1805, segnò il suo ritiro dalla politica; l’ultima parte della sua vita fu segnata dall’amarezza e dalla delusione per la fine del sogno rivoluzionario. Di Garibaldi rimangono diversi scritti di argomento storico e storico-familiare, come gli Alberi genealogici di famiglie di Chiavari, ma la sua opera più celebre è il repertorio in tre volumi Delle famiglie di Genova antiche e moderne, estinte e viventi, nobili e popolari, conservata alla Biblioteca della Società Economica. A lui si devono inoltre alcuni studi relativi alla famiglia Garibaldi, conservati nell’archivio della parrocchia di Sant’Antonio di Pontori.

Il comprensorio chiavarese fu terra d’origine dei fautori del Risorgimento nazionale: la famiglia di Giuseppe Mazzini proveniva da Cogorno, quella di Giuseppe Garibaldi dall’omonima valle nel territorio di Ne. Ricordiamo inoltre:

Davide Vaccà (1518-1607). Secondo la tradizione sarebbe nato nel centro storico di Chiavari, da un’antica famiglia locale. Addottorato in diritto civile e canonico, fu un noto giurista e amico personale di Andrea Doria. Fu doge di Genova nel biennio 1587-89.

Stefano Rivarola (1755-1827). Membro di una nobile famiglia chiavarese, nel 1783 fu ambasciatore della Repubblica di Genova presso la zarina Caterina II, imperatrice di tutte le Russie. Rientrato a Chiavari e divenuto governatore della città, pensò di realizzarvi un’illuminazione pubblica ad olio sul modello di quella che aveva apprezzato a San Pietroburgo: nel 1790 le vie del Caroggio dritto furono dotate di 19 fanali e fecero di Chiavari la prima città ad avere l’illuminazione pubblica. Fondatore e primo presidente della Società Economica www.societaeconomica.com, fu promotore della realizzazione della sedia Chiavari.

Stefano Castagnola (1825-1891). Laureato in giurisprudenza all’Università di Genova, in gioventù strinse amicizia col concittadino Nino Bixio e con Francesco Daneri, Goffredo Mameli, Gerolamo Ramorino. Si arruolò volontario nel 1848 e, con il 14° reggimento bersaglieri, combatté a Peschiera, Goito e Custoza. La sua attività politica iniziò nel consiglio comunale di Chiavari e proseguì fino all’elezione nel 1857 a deputato del Parlamento subalpino, nel collegio di Genova III. Promotore dell’impresa siciliana di Garibaldi, dopo l’Unità d’Italia fu eletto deputato a Chiavari (dal 1861 al 1876), quindi ad Albenga. Dal 1869 al 1873 fu ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio nel governo Lanza, nel quale per breve tempo resse anche l’interim della Marina (1869-70) e il dicastero dei Lavori Pubblici (1871). Nominato senatore nel 1869, dal 1888 fu sindaco di Genova, dove promosse importanti lavori nel Porto, curò le manifestazioni colombiane del 1892 e fondò la Scuola Superiore Navale. Presidente della Società Economica di Chiavari (1871-72), nell’Ateneo genovese fu docente di diritto romano, ecclesiastico e commerciale.

Alessandro Bixio (1808-1865). Fratello maggiore del celebre Nino, crebbe a Parigi presso il padrino, sottoprefetto del Dipartimento degli Appennini, e si inserì pienamente nella vita politica e culturale della città. Fu redattore della Revue des deux mondes, la più importante rivista d’Oltralpe del XIX secolo. Come deputato del parlamento francese, fu fautore dell’intervento armato contro la Repubblica Romana, per pacificare l’Italia sconvolta dalle rivoluzioni. Seppure di idee conservatrici, fu fervente repubblicano e quando, nel 1851, il colpo di stato di Luigi Bonaparte aprì la strada all’Impero, lasciò la politica dedicandosi proficuamente agli affari e divenendo un importante finanziere.

Gerolamo “Nino” Bixio (1821-1873). Nato a Genova da famiglia chiavarese, fu volontario nella I Guerra d’Indipendenza, nel 1848, e l’anno successivo prese parte alla difesa della Repubblica Romana. Dopo alcuni anni di imbarco sulle rotte dirette verso l’America del Sud, nel 1859 tornò al comando di un battaglione di Cacciatori delle Alpi e fu tra gli organizzatori e animatori della spedizione dei Mille, battendo i Borbonico da Calatafimi al Volturno. Il suo carattere deciso lo rese anche protagonista del massacro di Bronte, con il quale si volle punire gli eccessi ai quali si erano abbandonati gli abitanti alla notizia dell’arrivo di Garibaldi. Dal 1861 fu deputato al primo Parlamento italiano, dove si mostrò particolarmente esperto nei settori militare e marittimo. Senatore dal 1870, fu a fianco del generale Cadorna nell’attacco decisivo per la conquista di Roma. Riprese poi l’antica passione per il mare al comando di un bastimento da lui stesso progettato, che viaggiava con un sistema misto di vela e vapore, e proprio su quella nave morì in navigazione verso l’Indonesia.

Giovanni Antonio Mongiardini (1760-1841). Laureato in Medicina all’Università di Pisa, nel 1797 aderì alle idee giacobine che portarono alla formazione della Repubblica Democratica Ligure, nella quale fece parte del governo provvisorio, del Comitato di Polizia e, nel successivo periodo napoleonico, della Sezione Chimica dell’Academie Imperiale. A Chiavari fu consigliere comunale ed entrò nel Corpo Legislativo del Dipartimento degli Appennini. La Francia gli conferì la Legion d’Onore. Successivamente continuò nell’insegnamento di Medicina nell’Università genovese, pubblicando anche numerosi lavori.

Bernardino Turio (1779-1854). Chiavarese di Rupinaro, si laureò in Chimica Farmaceutica a Genova, dedicandosi poi alla botanica sotto la guida del prof. Domenico Viviani di Levanto. Nel 1806 il giovanissimo Bernardino, sollecitato dal prof. Antonio Mongiardini, chimico e naturalista chiavarese, raccolse tra Sestri Levante, Rapallo, la Val d’Aveto e la Val di Vara, ben 640 esemplari di piante, stendendone un saggio molto apprezzato, che meritò la pubblicazione. In città esercitò la professione di farmacista, non tralasciando gli studi naturalistici, che lo portarono anche a studiare le alghe marine del Golfo del Tigullio, abbandonando la materia dopo un rovescio finanziario. I suoi studi furono ripresi e proseguiti da Giovanni Casaretto.

Giovanni Casaretto (1810-1879). Laureato in Medicina, compì la sua prima osservazione botanica a Odessa nel 1836 insieme al naturalista De Verneuil. Durante un successivo viaggio intorno al mondo con lo zoologo Caffer (1838), dovette riparare in Brasile e a Rio de Janeiro ebbe modo di condurre un’approfondita ricerca sul territorio che gli consentì di raccogliere un gran numero di esemplari botanici – poi consegnati all’Università di Genova –, che raccolse nell’opera Novarum stirpium brasiliensium decades, stampato a Genova negli anni 1842-45.

Federico Delpino (1833-19059. Il grande botanico, nato da una modesta famiglia chiavarese, essendo di costituzione gracile, passava intere giornate all’aria aperta, in un piccolo giardino adiacente alla sua abitazione (oggi di pertinenza della Società Economica). Qui svolse le sue prime osservazioni sulla natura, soprattutto sulle relazioni tra piante e insetti. Intraprese gli studi di Matematica, ma riscoprì la sua vera vocazione durate un viaggio in Oriente, dove ebbe modo di studiare la flora esotica. Riprese così gli studi botanici da autodidatta e, trasferitosi a Firenze, prese a frequentare il Museo Botanico, l’Orto dei Semplici e la Biblioteca Webbiana.
Nel 1865 le sue osservazioni sulla fecondazione entomofila dell’Arauya albens gli valsero l’ingresso nel mondo accademico, come assistente del professor Parlatore, direttore dell’Istituto Botanico di Firenze. In seguito tenne la cattedra universitaria a Genova, a Bologna e, nel 1893, a Napoli, dove morì. I suoi scritti ancora oggi sono oggetto di studi e di approfondimenti; particolarmente interessante è il suo carteggio con Darwin (conservato alla Società Economica di Chiavari), nel quale Delpino – assertore di una rigorosa osservazione scientifica – si mostrava critico verso la teoria darwiniana della pangenesi. Lo stesso scienziato inglese scriveva di lui: «molti scrittori hanno veramente criticato questa ipotesi [la pangenesi]; la miglior memoria che sia pervenuta a mia conoscenza, è quella del prof. Federico Delpino intitolata Sulla darwiniana Teoria della Pangenesi (1869). Il prof. Delpino respinge l’ipotesi da me espressa, e io ho tratto grande profitto dalle critiche da lui fatte su tale argomento…».

Michele Bancalari (1805-1864). Padre scolopio, fu docente al Collegio Nazareno di Roma, quindi ad Oneglia, Finale e Savona. Nel 1846 ottenne la cattedra di Fisica all’Università di Genova, essendo nel contempo, Provinciale dell’Ordine degli Scolopi. Il suo nome è legato alla scoperta del diamagnetismo della fiamma, che presentò al IX Congresso degli Scienziati Italiani tenuto a Venezia nel 1847. La sua teoria fu apprezzata dal grande fisico Michael Faraday, che la assunse a base di un proprio studio sul comportamento magnetico degli aeriformi.

Tra Otto e Novecento a Chiavari erano attivi almeno tre ottonieri specializzato in costruzione di strumenti scientifici: Egidio Caranza, Vittorio Ugobono e Raimondo Isler.

Giuseppe Gaetano Descalzi (1767-1855). Era detto il Campanino perché il nonno era campanaro della chiesa di Bacezza. Figlio di un bottaio, artigiano, la sua produzione si inseriva nella tradizione chiavarese dei maestri ebanisti (in dialetto bancalari); ancora molto giovane, nel 1796, fu premiato dalla Società Economica di Chiavari con una medaglia d’argento per due cassettoni in legno. Nel 1807 il marchese Stefano Rivarola, fondatore nel 1791 della Società Economica, portò da Parigi propose agli artigiani chiavaresi di creare una nuova e moderna sedia prendendo spunto da un modello che aveva portato da Parigi; Descalzi creò così un modello nuovo ed elegante, caratterizzato da leggerezza, funzionalità e semplicità: era nata la sedia conosciuta con il nome di chiavarina o campanino. Malgrado la produzione di Descalzi non si limitasse a questo prodotto (a lui si deve l’elaborazione di un nuovo rivestimento nelle superfici lignee, l’inserimento dell’ardesia nell’intarsi dei tavoli e una particolare verniciatura), le sue sedie acquistarono una grande fama presso tutti i regnanti del tempo: dai sovrani di Casa Savoia a Francesco di Borbone delle Due Sicilie, a Carlo di Prussia, a Napoleone III. L’attività fu proseguita dai suoi familiari: i figli Emanuele e Giacomo e numerosi nipoti e pronipoti.

Angelo Agostino Descalzi (1808-1876). Architetto, capitano marittimo, inventore, nativo di Chiavari, aveva sposato una cugina della madre di Giuseppe Mazzini. Navigò a lungo soprattutto verso l’America del Sud, dove venne a contatto con le colonie di liguri colà stabilite. I frequenti viaggi marittimi gli diedero la possibilità di studiare i movimenti ondosi marittimi e fluviali di zone esotiche ed europee; in patria si dedicò invece alle invenzioni (per esempio di un bacino galleggiante) e alla progettazione: pianificò la copertura del Bisagno da Staglieno alla Foce e la sistemazione e l’ampliamento del porto di Genova, incontrando l’approvazione dello stesso conte di Cavour. Ma la scomparsa di questi e la sua stessa morte gli impedirono di realizzare il progetto.

Nicolò Descalzi (1801-1843). Esploratore, astronomo, idrografo, era figlio di Giuseppe Gaetano Descalzi il Campanino, creatore della celebre sedia di Chiavari. Appena ventenne si trasferì a Buenos Aires, dove fu designato dal governo argentino astronomo e pilota della prossima spedizione che doveva aprire una nuova via di comunicazione con la Bolivia attraverso il fiume Bermejo. L’impresa ebbe successo solo in parte, poiché Descalzi fu incarcerato per essere approdato sulla riva sinistra del fiume Paraguay, giurisdizione dello stato omonimo. Successivamente, nel 1834, ottenne dal presidente argentino la nomina a ingegnere, astronomo e idrografo dell’esercito nella spedizione contro gli indigeni che impedivano la colonizzazione della Patagonia. Fu l’occasione per raccogliere molte notizie di carattere geografico e astronomico, campioni di rocce e minerali, varietà di specie vegetali e animali, rappresentazioni cartografiche, lavoro che gli valse la nomina a maggiore del genio militare argentino e la decorazione con la medaglia d’argento. Negli anni seguenti compì altre ricerche e nel 1838, durante alcuni lavori di agrimensura lungo il fiume Matanza, scoprì i resti fossili di un mammifero erbivoro del Pliocene (Megatherium Cuvieri) e di uno pleistocenico (Glyptodon Clavipes), che furono poi donati al Museo di Torino.

Giambattista Scala (1817-1876). Capitano marittimo ed esploratore, percorse l’Africa e l’America del Sud, dove conobbe la triste realtà del commercio degli schiavi; a Lagos si impegnò concretamente per sostituire la tratta di uomini con il commercio di prodotti locali (rum, olio di palma, oggetti artigianali), facendo della città un emporio commerciale importante. Fu così che Cavour lo nominò là console del Regno di Sardegna. Continuò le sue esplorazioni in Niger, raggiunse Abeockuta, dove il re locale gli chiese di costruire una fattoria e di impiantare un’attività commerciale sul modello di quella di Lagos, per contrastare anche qui il commercio degli schiavi. Nel Regno di Orobu scoprì la pianta che produceva il sego vegetale, commercializzato per produrre pomate, candele e sapone. Nel 1862 pubblicò a Genova le sue memorie di viaggio.

Antonio Oneto (1826-1885). Capitano di lungo corso, navigò per diversi anni, finché nel 1868 si recò in America, organizzando una compagnia di navigazione che utilizzava i piroscafi per il trasporto marittimo, ma il fallimento dell’operazione, lo portò a rivolgersi allo studio della geografia, all’esplorazione, alla ricerca. Esplorò soprattutto la Patagonia, dove fondò la città di Puerto Deseado. A lui è intitolato anche un picco alla colonia Sarmiento.

Enrico Millo di Casalgiate (1865-1930). Nacque a Chiavari, nell’attuale Palazzo Rocca, dove si trovava la sede della Sottoprefettura, all’epoca retta da suo padre. Fu avviato giovanissimo alla carriera militare: a soli 14 anni entrò nella Regia Marina, dove percorse una brillante carriera. La sua fama è legata all’episodio dei Dardanelli, nella Guerra Italo-Turca: il 18 luglio 1912 il capitano di vascello Millo, alla guida di cinque torpediniere, penetra per 15 miglia nello Stretto dei Dardanelli, controllato dai nemici turchi, ottenendo una medaglia d’oro al valor militare.
L’anno successivo è nominato ministro della Marina del Governo Giolitti, incarico che mantiene anche nel Governo Salandra. Governatore in Dalmazia nel 1918, nel 1921 è presidente del Consiglio Superiore della Marina, che lascia nel 1923 con il grado di ammiraglio.

Nicola Giuseppe Dallorso (1876-1954). Giovanissimo, appena quindicenne, iniziò a lavorare alle dipendenze del Banco di Sconto del Circondario di Chiavari, del quale divenne direttore a 29 anni, ampliando il numero delle filiali e il giro d’affari. Nel 1921 l’Istituto di credito si trasformava in Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, che ebbe una straordinaria importanza nell’economia ligure. Nominato senatore del Regno nel 1939, fu anche insignito del cavalierato del lavoro.

Umberto Vittorio Cavassa (1890-1972). Di origine massese, si stabilì a Chiavari con la famiglia nel 1902. Redattore del quotidiano romano Il Giornale d’Italia, dal 1928 entrò al Lavoro di Genova, del quale nel 1943 divenne direttore. Dopo la guerra fu direttore del Secolo liberale (poi Secolo XIX) fino al 1968. Cavassa è anche noto per la sua attività di narratore, che esercitava fin dagli anni Venti; sono noti i suoi romanzi I giorni di Casimiro (1948) e Gente diversa (1956), ambientati rispettivamente a Chiavari e nella Sanremo di fine Ottocento, nonché La gloria che passò (1961), un romanzo storico che rievoca la Liguria di epoca napoleonica.

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